Risarcimento del danno non patrimoniale

24 nov Risarcimento del danno non patrimoniale

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Abbiamo già visto, in un precedente video, la differenza tra risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale.

Passiamo oggi quindi ad analizzare la risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, ricordando che la relativa disposizione (art. 2059 c.c.) prescrive come tale danno debba “essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge“.

Inoltre, vale la pena di notare come l’articolo in parola sia inserito nel libro IV, titolo IX del Codice Civile (Rubricato “Dei fatti illeciti”) e quindi ben lontano, sia geograficamente che concettualmente, dalle norme che regolano il risarcimento del danno contrattuale di cui agli artt. 1218 e seguenti (libro IV, titolo I).

Ci si chiede quindi:

  1. Il danno non patrimoniale va risarcito solo in ipotesi di responsabilità extracontrattuale, oppure anche in quella di responsabilità contrattuale?
  2. Più in generale, quali tipi di pregiudizio copre la nozione in parola?

Per rispondere, è necessario ripercorrere, brevemente, la storia giurisprudenziale di questa materia.

Prima del 2003, infatti, l’articolo 2059 veniva applicato solo per il risarcimento del c.d. “danno morale soggettivo” (inteso come sofferenza interiore del soggetto a seguito del danno riportato), esclusivamente laddove il fatto-causa del danno fosse un reato, mentre il danno biologico veniva fatto ricadere sotto la previsione di cui all’articolo 2043. Vi era quindi una evidente disparità di trattamento tra il risarcimento di danni extracontrattuali provocati da un fatto qualificabile come reato e quelli provocati da altre condotte (si pensi, ad esempio, ad illeciti amministrativi non qualificati penalmente).

Dopo il 2003, con le famose “sentenze gemelle” della Corte di Cassazione, attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059, si è invece giunti ad ammettere l’applicabilità della disposizione in parola (e quindi la possibilità di risarcimento) anche quando non sussista il fatto-reato, e precisamente:

  • nei casi in cui la legge consenta espressamente il ristoro del danno non patrimoniale, anche al di fuori di ipotesi di reato (ad esempio, si pensi al trattamento illecito di dati personali di cui al D.Lgs. 196/2003);
  • laddove il fatto, anche se non penalmente previsto, abbia violato un interesse di rilevanza costituzionale in maniera grave (e cioè oltre la soglia di tolleranza minima di cui all’articolo 2 della Costituzione).

 

Con le medesime pronunce, è stata altresì ampliata la nozione di danno morale, dilatato fino a ricomprendere il danno biologico, quale lesione del bene salute, “sganciando” quindi il medesimo dall’articolo 2043.

Questa impostazione, se da un lato è certamente più garantista nei confronti del danneggiato, ha però portato ad un abuso nelle richieste risarcitorie, spesso duplicate sotto forma di voci diversamente indicate ma spesso non del tutto distinguibili le une dalle altre (danno biologico, morale, tanatologico, da morte di congiunto, ecc.).

Nel 2008 le Sezioni Unite sono pertanto tornate sul punto, precisando la locuzione “danno non patrimoniale” di cui all’articolo 2059 deve ricomprendere, in sé, tutte le nozioni di danno non patrimoniale, ivi compreso quello biologico e morale, dovendosi evitare duplicazione delle medesime voci di danno; in questo modo si è altresì rinforzato e confermato il c.d. “sistema bipolaristico“, il quale prevede l’applicazione dell’articolo 2043 per il danno patrimoniale e dell’articolo 2059 per quello non patrimoniale.

Avendo con ciò risposto alla domanda di cui al punto 2, rimane da chiedersi se il danno non patrimoniale vada risarcito solo in ipotesi extracontrattuali o meno.

A tal proposito, pare ormai essersi fatta strada, in giurisprudenza, la teoria che i danni non patrimoniali siano risarcibili se e in quanto conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, secondo lo schema previsto dall’articolo 1223 del Codice e siano, dunque, a questo collegabili sulla base di un nesso causale.

Sempre nel 2008, difatti, il Supremo Collegio in composizione plenaria ha espressamente escluso la possibilità di riconoscere persistente validità al principio del concorso sia “proprio” che “improprio” di responsabilità, in favore di un regime unitario dell’obbligazione risarcitoria del danno alla persona, indipendentemente dalla fonte (contrattuale o extracontrattuale) segnando quindi un definitivo superamento sul piano della tutela risarcitoria della distinzione tra le due tipologie di responsabilità.

Avv. Domenico Balestra